Paolo Taverna, Direttore Salone Internazionale del Giocattolo
I giocattoli sono cambiati, profondamente, negli anni. E non solo a causa delle norme in materia di sicurezza, giustamente sempre più severe. Sono cambiati anche perché cambiamo noi e, di conseguenza, i bambini: i bambini copiano il mondo dei grandi, lo imitano, ne traggono una visione tutta loro e la proiettano nel loro mondo spesso – per fortuna – ancora spensierato. Ma accanto ai tablet e all’elettronica è bello scoprire che sopravvivono ancora molti dei giochi che ricordiamo tutti con nostalgia, perché il loro valore immaginifico è intatto e assolve ancora oggi molto bene quel compito che i bambini danno ai giocattoli: ricreare con la fantasia un mondo tutto loro.
Queste brevi note e il commento a 8 giocattoli e giochi della mia infanzia che sopravvivono ancora oggi, magari in altra forma, erano frutto di un piccolissimo contributo che avevo prestato alla redazione di un quaderno di appunti per i dipendenti del Gruppo Compass. Un’idea – della loro e nostra agenzia di comunicazione – che personalmente ho molto apprezzato perché l’introduzione era tutta dedicata al giocattolo e altre persone, oltre al sottoscritto, avevano riempito le pagine iniziali di ricordi della loro infanzia.
In questo momento in cui, un po’ per il tempo a disposizione, un po’ perché siamo più o meno tutti romantici, la nostra mente torna spesso ai ricordi e i ricordi dei giochi della propria infanzia sono per antonomasia ricordi felici e quindi piacevoli da ripercorrere, soprattutto in tempi di ansia e preoccupazione.
Mi fa piacere quindi condividere con i papà e le mamme che visitano o hanno visitato o visiteranno G! come giocare, i miei brevi e spero in molti casi comuni ricordi.
Il Lego
Un po’ come Lassie per il Collie, il suo nome ha sostituito per antonomasia quello di “costruzioni in plastica”. Bravi i signori della Lego a uscire dalla logica del semplice mattoncino che negli anni ’90 rischiava di farli richiudere su sé stessi. Bravi ad aggiungere pezzi, a rendere collezionabili i personaggi, a raggiungere maschi e femmine senza distinzione. Alla base una grande idea: costruire e poi smontare per poi ricostruire, aggiungendo pezzi e fantasia, tutte le volte che vuoi.
Il calcetto
No, non quello a cinque o a sette. Parlo del calciobalilla, anche se non lo si chiama più così: omini rossi contro omini blu, che ora per risultare più attuali vestono le maglie delle nostre squadre di calcio. Nella versione moderna non c’è più la levetta che si tirava dopo aver inserito le 50 lire e che spesso si incastrava col legnetto del ghiacciolo per giocare finché si voleva – o meglio, finché se ne accorgeva il barista -, è più a misura di bambino, più sicuro (senza le aste che escono), ma per il resto è proprio quello.
Il trenino
In legno da spingere, in plastica da far correre sul tappeto o elettrico da far scorrere sui binari posizionati con perizia – e pazienza della mamma – in sala la domenica. Ce l’ho ancora il mio trenino. Penso che pochi l’abbiano destinato alla discarica o allo smaltimento differenziato degli apparecchi elettrici. È lì, fermo nell’armadio. Ma quando apriamo quell’armadio siamo investiti dai ricordi, ci sfugge un sorriso e forse un sospiro.
Il Pallone
Eh già, si finisce con un gioco che non è un giocattolo (anche se i palloni in gomma in realtà lo sono), ma che non si può non citare. Noi bambini italiani poi ci siamo nati col pallone. Si prendevano le occhiatacce ai giardinetti, le sgridate dalle portinaie nei cortili, ci si sbucciava le ginocchia sui primi campetti con le porte. Ma che bello appena l’aria riscaldava un po’ in primavera e gli amici suonavano al citofono: “Dai, vieni giù!” Impossibile resistere.